Filatelia

Il giuramento della pallacorda

Oggi è il 229° anniversario del giuramento della pallacorda.

Il 5 maggio del 1789, presso l’Hôtel des Menus-Plaisirs a Versailles, si svolse la seduta inaugurale degli Stati Generali del Regno di Francia, che non venivano convocati da ben 175 anni. L’assemblea era molto attesa dai membri del Terzo Stato, che avrebbero voluto ottenere delle riforme non soltanto fiscali e finanziarie, ma soprattutto politiche e sociali. Le speranze furono subito disattese; nei discorsi inaugurali tenuti dal sovrano Luigi XVI, dal Guardiasigilli de Barentin e da Jacques Necker, nuovo Direttore generale delle finanze del regno, non venne neanche menzionata la modalità di voto (se per testa o per ordine). Quando fu il turno dei tre Stati di confrontarsi tra di loro, gli argomenti riguardarono la legislatura e non i problemi finanziari del regno: i deputati del Terzo Stato si dichiararono ovviamente favorevoli al voto per testa, contro il volere di nobiltà e clero. Il 17 giugno, ispirato dalle tesi dell’abate Emmanuel Joseph Sieyès, il Terzo Stato si autoproclamò “Assemblea Nazionale”.

Con il pretesto di lavori di manutenzione urgenti, il 20 giugno Luigi XVI ordinò la chiusura della sala. La neonata Assemblea Nazionale si spostò nella vicina sala destinata al gioco della pallacorda, dove il 9 luglio aggiunse al proprio nome l’aggettivo “Costituente”, come segno dell’intenzione di ottenere una Costituzione.
Per ricordare questo importante evento della rivoluzione francese abbiamo scelto i tre francobolli che le poste transalpine gli hanno dedicato nel corso degli anni. Di questi abbiamo pubblicato l’immagine e una breve descrizione sopra. 

giuramento-della-pallacorda2Il 5 maggio 1789, gli Stati generali furono solennemente aperti dal re a Versailles. Fin dal principio s’aprì un lungo dibattito che, in apparenza, verteva sulla procedura, ma, in effetti, concerneva l’esistenza stessa e i poteri degli stati. I poteri dei deputati sarebbero stati verificati in riunioni separate di ciascun ordine, o in seduta plenaria? In altre parole, si sarebbero conservate le forme del 1614, e, per conseguenza, il voto per ordine, che avrebbe data la maggioranza ai privilegiati, oppure si sarebbe ammessa la votazione per testa? Il Terzo, unanime, si batteva per la verifica dei poteri in comune e il voto per testa che, solo, avrebbe consentito riforme efficaci.
Pertanto rifiutò di verificare i poteri in assemblee separate e, il 10 giugno, invitò gli altri due ordini a unirsi a lui. Questi ultimi erano discordi, i nobili liberali e i curati pensavano come il Terzo, l’alto clero invece e la maggioranza della nobiltà erano per il rispetto della tradizione.
Alcuni curati vennero a unirsi al Terzo il 13 giugno. Incuranti dell’assenza della maggioranza dei privilegiati, i deputati del Terzo, che, seguendo l’esempio inglese, cominciano a chiamarsi deputati dei “comuni”, constatando che rappresentano il 98% della nazione, il 17 giugno dichiarano di costituire una “assemblea nazionale”. Presto si attribuiscono l’approvazione delle imposte, confermando provvisoriamente quelle esistenti: il che significava prevedere che, qualora il re e i privilegiati non accettassero i loro progetti, potrebbero, come i patrioti belgi, proclamare lo sciopero dell’imposta, minaccia straordinariamente grave per il governo reale.giuramento-della-pallacorda3
Intanto Luigi XVI, di nuovo influenzato dalla corte, pensa ad annullare, con la forza, le decisioni del Terzo stato. Il 20 giugno dà ordine di chiudere la sala delle riunioni; i deputati allora si recano nella sala del gioco della pallacorda e, per iniziativa di Mounier, prestano entusiasti all’unanimità il giuramento di “non separarsi mai e di riunirsi ovunque le circostanze l’esigessero fino a che non fosse sancita e fondata su solide basi la Costituzione”.
Nonostante questa imponente manifestazione, il re, spinto dai fratelli e dalla regina, decide di annullare, in una “seduta reale”, sorta di “letto di giustizia”, le decisioni del Terzo stato. La seduta si tiene il 23 giugno e in essa il re annuncia tutto un programma di riforme, ma non parla né del voto per testa, né dell’eguaglianza fiscale, né dell’abolizione del regime feudale. Dopo la lettura del discorso reale, il Terzo rimane nella sala e mantiene le proprie decisioni prese in nome della nazione. Mirabeau simbolizza questa resistenza replicando all’inviato del re: “Andate a dire a coloro che vi mandano che noi siamo qui per volontà del popolo e che non lasceremo il nostro posto che con la forza delle baionette”.

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